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Odio l’estate

Non è una questione di temperature, folla al mare, spostamenti di ore: quella è roba per i veri squali dell’informazione, quelli che scrivono “spiagge prese d’assalto” e “non uscite nelle ore più calde”. Non è neanche per i terrificanti cocktail estivi che ci vediamo propinare, come quello in foto d’apertura. Io la detesto perché è come se con l’avvicinarsi del pieno della bella stagione, le rughe della vita quotidiana dell’ospitalità diventassero più profonde ed evidenti. L’estate diventa una scusante per qualsiasi problema non risolto, di comportamento approssimativo, di prestazione insufficiente: tanto se ne riparla a settembre, o comunque sai il caldo, insomma siamo quasi in ferie. E figuriamoci se qui si vuole mettere in dubbio le difficoltà che sono ormai sempre più pressanti, per chi decide di mettersi in gioco nel settore dell’accoglienza: ma riconoscerle e affrontarle in modo costruttivo è un conto, sfruttarle come motivazione per non tenere certi livelli è un altro.

Capita molto spesso anche con le nuove aperture: il periodo di rodaggio, abbiamo aperto da poco e ci stiamo ancora assestando, stiamo ancora cercando fornitori (poco diverso da settembre, il caldo, le ferie). È tutto comprensibile, ma alla fine l’ospite paga un prezzo che di questi inconvenienti non tiene conto, non ci sono riduzioni per il periodo iniziale o quello a ridosso delle vacanze. Ed è un bel pararsi il sedere, con tutto il rispetto, considerando il danno che si arreca all’intero sistema: se più locali propongono un prodotto mediocre, quei pochi (sempre meno) che invece lavorano come si deve soffriranno, paradossalmente, perché gli ospiti faranno richieste altrettanto mediocri (dato che il circondario non si preoccupa di fare qualità) o addirittura non entreranno neanche, dato che le precedenti esperienze in zona hanno lasciato a desiderare.

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Influencers

La testata britannica Drinks International, che distribuisce un bellissimo cartaceo oltre alla sterminata fonte di informazioni online, è forse la più rilevante e profonda del settore in questo momento. Per vari motivi, tra l’altro: ci si trovano spunti relativi al mercato, articoli di opinione, contenuti utili a bartender e consumatori. Insomma, un contenitore come non se ne trovano altrove, che ha come unica pecca quella di aver permesso al sottoscritto di collaborare con un paio di articoli.

Tra i vari prodotti che ogni anno Drinks International tira fuori, ci sono due classifiche che nel giro fanno sempre piuttosto rumore. Una è quella relativa ai drink più ordinati al mondo, che prende in considerazione i dati relativi ai bar inclusi nella 50 Best Bars (andare a beccare i dati di tutto il mondo sarebbe impresa durissima ma affascinante, soprattutto per le case produttrici di rimedi epatici). Lungi dall’essere una trovata di marketing, una lista del genere permette in realtà uno spaccato di mercato preziosissimo, perchè comprendere le richieste dei consumatori di una certa fascia permette di lavorare di conseguenza. Per dirne una, il Pornstar Martini (quest’anno al 32esimo posto, in foto sotto) è stato per varie stagioni nella top 5 addirittura: chi ha intercettato quelle preferenze magari adesso lavora di più con lo champagne, con i sour in generale, con i prodotti di un certo colore addirittura. Magari anche no eh, chi ha ordinato/servito un Pornstar Martini negli ultimi mesi alzi la mano. Per il secondo anno in fila, al primo posto c’è il Negroni.

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Un’altra occasione persa

D’accordo, è stata la festa della mamma. Ma nella comunità globale del bar, il 13 maggio si celebra il Word Cocktail Day: la giornata mondiale della miscelazione, per certi versi, che si fa coincidere con la data in cui, nel 1806, il Balance and Columbian Repository di Hudson, New York, pubblicò per la prima volta la definizione del termine cocktail. L’abbiamo tutti imparata a memoria, ma una volta di più di certo non ci fa ammalare: “A stimulating liquor composed of any kind of sugar, water and bitters, vulgarly called a bittered sling” (“Una bevanda alcolica stimolante, composta di qualsiasi tipo di zucchero, acqua e bitter, volgarmente detta bittered sling“).

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Il problema è un altro

Un martedì sera a caso ho lasciato il Dirty verso le dieci e mezza, riavvicinando il mio sgabello di fronte ai genitali stilizzati sul bancone. Ci avevo trascorso neanche un paio d’ore: il tempo comunque di vedere una coppia sulla cinquantina entrare chiedendo di sedere oltre le strisce di plastica che separano le due sale del locale. Sono rimasti al tavolo appena due minuti, prima di andare via: volevano, e non è uno scherzo, mangiare una pizza. Ora io non ho idea di come fossero arrivati a scegliere proprio quest’insegna per la loro Margherita (che sia chiaro è l’unica e sola pizza sacra), ma mi è sembrato un esempio lampante di uno dei più grandi mali che affligge il mondo bar italiano, in questo momento: lo si comunica malissimo, e di conseguenza è poco compreso dal consumatore finale. Che è quello che alla fine, il mondo bar lo tiene in piedi.

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Buoni propositi

Non cambia niente, ma potrebbe cambiare tutto: ci siamo risparmiati i bilanci dell’anno appena trascorso, ma di certo non possiamo esimerci dal guardare a quello che inizia adesso. È il primo lunedì del 2023, vi pareva non vi lasciassi i miei auguri per voi tutti? Anche perché si è conclusa un’annata intensissima, positiva, complicata, e allora perché non sperare un sacco di cose belle per la prossima?

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Un classico

In un cassetto, da qualche parte, Edoardo Nono tiene ancora il primo scontrino mai battuto dalla cassa del Rita. Era il dicembre del 2002, vent’anni fa: la vita notturna del Naviglio Grande di Milano “finiva a Le Vigne”, un’osteria che oggi ancora resiste all’angolo con via Pasquale Paoli. Oltre, il nulla nebbioso della scighera: al posto del Rita aveva sede lo Zanza, luogo di perdizione che addirittura apriva a mezzanotte. Altri tempi, se è per questo altri colori e altre prospettive. Il Naviglio forse profumava ancora di indoli artistiche, squattrinate e semplici: era il regno di Alda Merini, scomparsa nel 2009, personificazione di quello che l’umanità dannata e sognante di questi luoghi deve essere stata, cui è stato dedicato uno spazio in via Magolfa e un ponte poco più in là.

All’inizio erano trentasei metri quadri, “un corridoio con più bottiglie che cristiani” come si legge scolpito nella prima recensione mai venuta fuori del Rita, su Zero. Erano gli albori degli albori (Facebook verrà lanciato in Italia nel 2004) della fame di visibilità social da cui adesso non si scappa più: anni in cui “era figo se ci si nascondeva, adesso è fondamentale essere presentissimi. Per anni siamo rimasti in silenzio senza apparire, adesso ci siamo adeguati”, peraltro alla grande, con una pagina Instagram che è uno specchio perfetto dell’irriverenza bonaria e graffiante di chi popola il banco del Rita. Da entrambi i lati, perché l’energia dei bartender si mescola a quella degli ospiti, alimentata negli anni dal potere di una proposta di tagliente semplicità.

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Poteva andare peggio

Pensavate di esservi ormai messi in salvo dalla febbre della miscelazione molecolare, dai drink con colori strappa-pupille e tecniche di laboratorio applicate al bere? Bentrovati, dunque: su Netflix è da qualche settimana disponibile Drink Masters, un talent show dedicato ai bartender (ristretto al Nord America), che mette in palio la bellezza di centomila bruscolini, utili al vincitore, si suppone, per avviare una propria attività. È il primo programma-competizione dedicato al bar: contenti? Eh…

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Atene Maestra

“Se volete fare una cosa, fatela”. Che potrà sembrare un concetto di semplicità quasi triviale, ma Ago Perrone la dice con una pacatezza così decisa, da renderla un comandamento illuminante, facendola risuonare nelle pareti curve dello Stage D, il principale tra i cinque palchi dell’Athens Bar Show. Partito dai mille visitatori della prima edizione nel 2010, che contava appena nove espositori, quello che si è da poco concluso è stato l’Athens Bar Show con la maggiore affluenza di sempre (quattordicimila presenze), che ha inondato le viottole di Technopolis (Piraeus Street 100); fino agli anni Novanta, un impianto dedito al trattamento di gas e petrolio, oggi convertito in uno splendido polo fieristico.

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Piutost che nient, l’è mej un toast

Non si possono lasciare soli un attimo, che ti scatenano una burrasca per un toast a mezzi e due euro da pagare per il servizio di divisione. “Che poi non è per i due euro eh”; sì invece, è per i due euro. Come è stato per dieci centesimi in più da pagare per un espresso al banco, o per il tot da corrispondere per il taglio della torta che ci si porta da casa, o il diritto di tappo qualora fosse mai capitato loro di usufruire del leggendario BYO (bring your own, molto in voga nei paesi anglosassoni, andare al ristorante con la propria bottiglia di vino e pagare una cifra prestabilita perché gli addetti stappino, servano, forniscano i calici, li lavino e così via). O quanto meno, è prima di tutto per la questione economica, che per il consumatore medio è stretta con il doppio nodo a una mancanza di aderenza alla realtà, quando si parla di ristorazione.

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MILANO IN GIARDINO

Sarà di certo più ridotta nelle dimensioni, rispetto alle altre metropoli europee cui viene spesso paragonata, eppure Milano non manca davvero di nulla. Per ogni momento della giornata, sia essa stressante o serena, piena o pigra, attesa o maledetta, ci sarà un luogo della città adatto a essere visitato.

Alcuni di questi vanno bene sempre. Tra palazzi storici e angoli di bellezza nascosta, si scorgono infatti dei giardini che sembrano bolle di tranquillità dove potersi rifugiare se tutt’intorno è troppo veloce, ritagliare uno spazio se invece si ricerca solo silenzio. E molti di questi scorci di quiete portano con sé storie inaspettate.

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MILANO AL MUSEO

Per gioco, per amore o per interesse personale, ciascuno di noi ha probabilmente provato, almeno una volta nella vita, a coltivare una collezione. La sensazione di portare avanti e custodire una raccolta, che sia monotematica o varia, alimentandola per consegnarla forse ai posteri. E magari sarà durata molto meno di quanto ci saremmo aspettati o avremmo desiderato.

Milano racchiude invece una serie di musei, fondazioni, collezioni private di totale unicità: dalle raccolte di famiglie nobili, agli studi di designer e architetti che hanno tramandato le loro idee e i loro progetti, fino alle pietre miliari della cultura della città o a veri e propri luoghi di riflessione e contemplazione, artistica o introspettiva. Che si tratti di quadri, oggetti o anche solo memorabilia, l’intera città è disseminata di occasioni per conoscere più a fondo animi preziosi. Basta solo trovare la porta giusta.

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MILANO TRA I CORTILI

Passeggiare per le strade di Milano può rivelarsi una straordinaria caccia al tesoro. Fondata dai Romani, del cui Impero d’Occidente fu capitale, divenne poi centro culturale ed economico di un certo rilievo nel periodo Rinascimentale. Con il passare dei secoli, le nuove costruzioni si sono sovrapposte alle antiche, come spesso succede nelle città ricche di storia, senza però per fortuna cancellarle del tutto. 

Gli ariosi vialoni, o le strette stradine: ogni arteria di Milano potrebbe riservarvi sorprese di incredibile bellezza, se solo saprete dove andare a cercare. I portoni più anonimi potrebbero essere scrigni di ricchezza impensabili, e chiedere il permesso a un custode potrebbe essere un lasciapassare per un viaggio nel passato. A ridosso di chiese e monasteri, all’interno di abitazioni nobiliari, o semplicemente al centro di condomini privati: i cortili e i chiostri di Milano raccontano di vite trascorse, che ancora oggi fanno sognare. 

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MILANO E I SUOI PALAZZI

Lo sfarzo di sale affrescate, l’emozione di cortili e portici ad archi, le storie intrise di leggenda che hanno visto famiglie potenti intrecciarsi con sovrani e popolani. Milano fu centro di estrema importanza nel commercio e nella società fin dal MedioEvo, e regnanti e ricchi non persero tempo a costruirsi palazzi che ne dimostrassero l’importanza.

Scoprite allora un itinerario che vi porterà in giro per gli edifici storici, che in passato furono abitati da stirpi di valorosi, spesso poi caduti in rovina; altri ancora sono ancora di proprietà degli eredi, che con più cognomi e più interessi oggi dedicano i propri spazi privati alla valorizzazione della bellezza e del lavoro degli artisti moderni.

Perdetevi nelle immense sale da ballo, arrampicatevi sugli scaloni d’onore, percorrete i corridoi tappezzati per rivivere le atmosfere di tempi che furono, quando la brama di potere e il desiderio di cultura si fondevano in una sola, affascinante e pericolosa energia. E magari potrete chiedervi come sarebbe stato, se a vivere in quei giorni foste stati voi.