(Don’t) look up

Del film ormai si parla ovunque. Ed è anche una bella boccata d’aria, considerando che ovunque si vada, l’argomento di conversazione rimane la pandemia: noi non saremo qui a dire cosa sarà o non sarà, non ne abbiamo i mezzi. Abbiamo una sola certezza: il 2022 è un nuovo anno, e come tale va preso come un’occasione anche solo simbolica per, davvero, guardare in su, con gli occhi spalancati. Non è una cometa, quella da tenere d’occhio, bensì la realtà delle cose. Che al bar, come nella vita, vanno comprese per quelle che sono, eliminate se necessario, incentivate se positive. Buon anno, quindi.

Buon anno a chi ancora resiste e punta il dito contro la movida. Quelli che scrivono di aver visto gente assembrata (ma poi tornerà nell’oblio da cui è arrivato, questo termine?), senza mascherina, e magari lo scrive mentre si annoia al tavolino dell’autogrill in cui ha fatto sosta, mentre sta andando a sciare e ammassarsi e senza mascherina. Sono come quelli che “no lo Spritz non è un drink, non lo faccio nel mio locale“, e poi a fine mese è con gli Spritz venduti (che neanche sanno fare come si deve) che riescono a mandare avanti la baracca.

Buon anno a chi anche di fronte alle evidenze che ormai sono crescenti, rifiuta di convincersi, pur di non ammettere d’aver commesso un errore. Quelli che finiscono a lottare con il peggio, che quasi non meriterebbero assistenza alcuna, e comunque continuano a parlare di assurdità come dittatura sanitaria, complotto, grandi disegni. Sono come quelli che “a me con poco ghiaccio, lo so che lo aggiungete perché volete mettere poco alcool e fregarmi”. Magari chiedetegli pure due numeri per il lotto, se sono davvero tra i pochi eletti che conoscono il grande disegno del mondo (e dei cocktail annacquati).

Buon anno a quelli che invece di seguire le indicazioni di chi in un determinato campo vive e davvero lavora, pensano di saperne di più grazie alla loro laurea all’università della vita. Nella scienza e nella tecnica non si crede, si obbedisce. Altrimenti si chiamavano religione. Sono come quelli che “io ho mio cugino che mi da una mano con i social”, oppure “un parente appassionato di cocktail fa il barista da me”. La professionalità si chiama così, perché si parla di professione: i dilettanti lasciateli dalla parte giusta del bancone, e della vita.

Buon anno a quelli che alla luce di una visibilità ottenuta chissà per quale motivo, pensano di poter dire la propria su qualsiasi argomento, perché migliaia di like, apparentemente, sono anche titolo onorifico che garantisce voce in capitolo. E grazie per averci spiegato che si può essere influencer di miscelazione, cibo, tecnologia, viaggi, moda, cinema, libri, Covid. Contemporaneamente. Sono come quelli che “sai, sono del settore”, perché hanno lavato i bicchieri in un caffè di quartiere a sedici anni, e poi chiedono “che gin avete” prima di scegliere sempre lo stesso. Magari si tornasse a capire l’importanza di lavare i bicchieri, sempre e a qualsiasi livello.

Buon anno a quelli che fanno i furbi. Quelli che pur di non rispettare le regole preferiscono mentire, tacere, falsificare, sviare. Il Green Pass falso, l’omissione di una positività, il mancato controllo: siamo tutti nella stessa barca, e chi pensa di andare più veloce perché rema da solo, capirà presto che è solo remando insieme che si andrà lontano. Sono quelli che prenotano per tre e si presentano in cinque, tanto “basta che aggiungiamo due sedie”; o quelli che su ospiti, staff e soci lucrano millantando competenze e amicizie. Il rispetto, da consumatori, da imprenditori, da esseri umani, rimane una delle pietre miliari della convivialità.

Buon anno ai coerenti, i cui portabandiera sono i No Vax che “alla fine mi sono fatto tre dosi altrimenti non potevo andare al ristorante”. Combattere per un proprio ideale sarebbe un valore altissimo, fosse anche un ideale non per forza nobile. Ma la differenza tra lotta per passione e schieramento per ignoranza sarà sempre troppo complessa da comprendere. Sono come quelli che parlano male di un bar o di una persona, per poi andarci o riceverli al bancone la sera dopo, purché si possa fare una foto da postare o guadagnare qualche soldo. Più che l’onore, potè il digiuno, della vita sociale o del portafogli.

Buon anno, ma davvero, a quelli che nelle difficoltà hanno stretto i denti, creduto in se stessi, smussato angoli, affilato le unghie. A quelli che hanno insistito nella loro missione, sgomitando tra decreti e incertezze, e anche se a rilento adesso vedono la luce avvicinarsi. A quelli che addirittura hanno trovato la forza per (ri)mettersi in gioco nel momento più buio: il futuro sarà migliore, e il futuro comincia con il nuovo anno. Guardate in alto, a testa alta.

Leggi anche...

baround

Piutost che nient, l’è mej un toast

Non si possono lasciare soli un attimo, che ti scatenano una burrasca per un toast a mezzi e due euro da pagare per il servizio di divisione. “Che poi non è per i due euro eh”; sì invece, è per i due euro. Come è stato per dieci centesimi in più da pagare per un espresso al banco, o per il tot da corrispondere per il taglio della torta che ci si porta da casa, o il diritto di tappo qualora fosse mai capitato loro di usufruire del leggendario BYO (bring your own, molto in voga nei paesi anglosassoni, andare al ristorante con la propria bottiglia di vino e pagare una cifra prestabilita perché gli addetti stappino, servano, forniscano i calici, li lavino e così via). O quanto meno, è prima di tutto per la questione economica, che per il consumatore medio è stretta con il doppio nodo a una mancanza di aderenza alla realtà, quando si parla di ristorazione.

baround

Odio l’estate

Non è una questione di temperature, folla al mare, spostamenti di ore: quella è roba per i veri squali dell’informazione, quelli che scrivono “spiagge prese d’assalto” e “non uscite nelle ore più calde”. Non è neanche per i terrificanti cocktail estivi che ci vediamo propinare, come quello in foto d’apertura. Io la detesto perché è come se con l’avvicinarsi del pieno della bella stagione, le rughe della vita quotidiana dell’ospitalità diventassero più profonde ed evidenti. L’estate diventa una scusante per qualsiasi problema non risolto, di comportamento approssimativo, di prestazione insufficiente: tanto se ne riparla a settembre, o comunque sai il caldo, insomma siamo quasi in ferie. E figuriamoci se qui si vuole mettere in dubbio le difficoltà che sono ormai sempre più pressanti, per chi decide di mettersi in gioco nel settore dell’accoglienza: ma riconoscerle e affrontarle in modo costruttivo è un conto, sfruttarle come motivazione per non tenere certi livelli è un altro.

Capita molto spesso anche con le nuove aperture: il periodo di rodaggio, abbiamo aperto da poco e ci stiamo ancora assestando, stiamo ancora cercando fornitori (poco diverso da settembre, il caldo, le ferie). È tutto comprensibile, ma alla fine l’ospite paga un prezzo che di questi inconvenienti non tiene conto, non ci sono riduzioni per il periodo iniziale o quello a ridosso delle vacanze. Ed è un bel pararsi il sedere, con tutto il rispetto, considerando il danno che si arreca all’intero sistema: se più locali propongono un prodotto mediocre, quei pochi (sempre meno) che invece lavorano come si deve soffriranno, paradossalmente, perché gli ospiti faranno richieste altrettanto mediocri (dato che il circondario non si preoccupa di fare qualità) o addirittura non entreranno neanche, dato che le precedenti esperienze in zona hanno lasciato a desiderare.

baround

Influencers

La testata britannica Drinks International, che distribuisce un bellissimo cartaceo oltre alla sterminata fonte di informazioni online, è forse la più rilevante e profonda del settore in questo momento. Per vari motivi, tra l’altro: ci si trovano spunti relativi al mercato, articoli di opinione, contenuti utili a bartender e consumatori. Insomma, un contenitore come non se ne trovano altrove, che ha come unica pecca quella di aver permesso al sottoscritto di collaborare con un paio di articoli.

Tra i vari prodotti che ogni anno Drinks International tira fuori, ci sono due classifiche che nel giro fanno sempre piuttosto rumore. Una è quella relativa ai drink più ordinati al mondo, che prende in considerazione i dati relativi ai bar inclusi nella 50 Best Bars (andare a beccare i dati di tutto il mondo sarebbe impresa durissima ma affascinante, soprattutto per le case produttrici di rimedi epatici). Lungi dall’essere una trovata di marketing, una lista del genere permette in realtà uno spaccato di mercato preziosissimo, perchè comprendere le richieste dei consumatori di una certa fascia permette di lavorare di conseguenza. Per dirne una, il Pornstar Martini (quest’anno al 32esimo posto, in foto sotto) è stato per varie stagioni nella top 5 addirittura: chi ha intercettato quelle preferenze magari adesso lavora di più con lo champagne, con i sour in generale, con i prodotti di un certo colore addirittura. Magari anche no eh, chi ha ordinato/servito un Pornstar Martini negli ultimi mesi alzi la mano. Per il secondo anno in fila, al primo posto c’è il Negroni.

baround

Un’altra occasione persa

D’accordo, è stata la festa della mamma. Ma nella comunità globale del bar, il 13 maggio si celebra il Word Cocktail Day: la giornata mondiale della miscelazione, per certi versi, che si fa coincidere con la data in cui, nel 1806, il Balance and Columbian Repository di Hudson, New York, pubblicò per la prima volta la definizione del termine cocktail. L’abbiamo tutti imparata a memoria, ma una volta di più di certo non ci fa ammalare: “A stimulating liquor composed of any kind of sugar, water and bitters, vulgarly called a bittered sling” (“Una bevanda alcolica stimolante, composta di qualsiasi tipo di zucchero, acqua e bitter, volgarmente detta bittered sling“).

baround

Il problema è un altro

Un martedì sera a caso ho lasciato il Dirty verso le dieci e mezza, riavvicinando il mio sgabello di fronte ai genitali stilizzati sul bancone. Ci avevo trascorso neanche un paio d’ore: il tempo comunque di vedere una coppia sulla cinquantina entrare chiedendo di sedere oltre le strisce di plastica che separano le due sale del locale. Sono rimasti al tavolo appena due minuti, prima di andare via: volevano, e non è uno scherzo, mangiare una pizza. Ora io non ho idea di come fossero arrivati a scegliere proprio quest’insegna per la loro Margherita (che sia chiaro è l’unica e sola pizza sacra), ma mi è sembrato un esempio lampante di uno dei più grandi mali che affligge il mondo bar italiano, in questo momento: lo si comunica malissimo, e di conseguenza è poco compreso dal consumatore finale. Che è quello che alla fine, il mondo bar lo tiene in piedi.

baround

Buoni propositi

Non cambia niente, ma potrebbe cambiare tutto: ci siamo risparmiati i bilanci dell’anno appena trascorso, ma di certo non possiamo esimerci dal guardare a quello che inizia adesso. È il primo lunedì del 2023, vi pareva non vi lasciassi i miei auguri per voi tutti? Anche perché si è conclusa un’annata intensissima, positiva, complicata, e allora perché non sperare un sacco di cose belle per la prossima?