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Il problema è un altro

Un martedì sera a caso ho lasciato il Dirty verso le dieci e mezza, riavvicinando il mio sgabello di fronte ai genitali stilizzati sul bancone. Ci avevo trascorso neanche un paio d’ore: il tempo comunque di vedere una coppia sulla cinquantina entrare chiedendo di sedere oltre le strisce di plastica che separano le due sale del locale. Sono rimasti al tavolo appena due minuti, prima di andare via: volevano, e non è uno scherzo, mangiare una pizza. Ora io non ho idea di come fossero arrivati a scegliere proprio quest’insegna per la loro Margherita (che sia chiaro è l’unica e sola pizza sacra), ma mi è sembrato un esempio lampante di uno dei più grandi mali che affligge il mondo bar italiano, in questo momento: lo si comunica malissimo, e di conseguenza è poco compreso dal consumatore finale. Che è quello che alla fine, il mondo bar lo tiene in piedi.

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Buoni propositi

Non cambia niente, ma potrebbe cambiare tutto: ci siamo risparmiati i bilanci dell’anno appena trascorso, ma di certo non possiamo esimerci dal guardare a quello che inizia adesso. È il primo lunedì del 2023, vi pareva non vi lasciassi i miei auguri per voi tutti? Anche perché si è conclusa un’annata intensissima, positiva, complicata, e allora perché non sperare un sacco di cose belle per la prossima?

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Un classico

In un cassetto, da qualche parte, Edoardo Nono tiene ancora il primo scontrino mai battuto dalla cassa del Rita. Era il dicembre del 2002, vent’anni fa: la vita notturna del Naviglio Grande di Milano “finiva a Le Vigne”, un’osteria che oggi ancora resiste all’angolo con via Pasquale Paoli. Oltre, il nulla nebbioso della scighera: al posto del Rita aveva sede lo Zanza, luogo di perdizione che addirittura apriva a mezzanotte. Altri tempi, se è per questo altri colori e altre prospettive. Il Naviglio forse profumava ancora di indoli artistiche, squattrinate e semplici: era il regno di Alda Merini, scomparsa nel 2009, personificazione di quello che l’umanità dannata e sognante di questi luoghi deve essere stata, cui è stato dedicato uno spazio in via Magolfa e un ponte poco più in là.

All’inizio erano trentasei metri quadri, “un corridoio con più bottiglie che cristiani” come si legge scolpito nella prima recensione mai venuta fuori del Rita, su Zero. Erano gli albori degli albori (Facebook verrà lanciato in Italia nel 2004) della fame di visibilità social da cui adesso non si scappa più: anni in cui “era figo se ci si nascondeva, adesso è fondamentale essere presentissimi. Per anni siamo rimasti in silenzio senza apparire, adesso ci siamo adeguati”, peraltro alla grande, con una pagina Instagram che è uno specchio perfetto dell’irriverenza bonaria e graffiante di chi popola il banco del Rita. Da entrambi i lati, perché l’energia dei bartender si mescola a quella degli ospiti, alimentata negli anni dal potere di una proposta di tagliente semplicità.

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Poteva andare peggio

Pensavate di esservi ormai messi in salvo dalla febbre della miscelazione molecolare, dai drink con colori strappa-pupille e tecniche di laboratorio applicate al bere? Bentrovati, dunque: su Netflix è da qualche settimana disponibile Drink Masters, un talent show dedicato ai bartender (ristretto al Nord America), che mette in palio la bellezza di centomila bruscolini, utili al vincitore, si suppone, per avviare una propria attività. È il primo programma-competizione dedicato al bar: contenti? Eh…

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Atene Maestra

“Se volete fare una cosa, fatela”. Che potrà sembrare un concetto di semplicità quasi triviale, ma Ago Perrone la dice con una pacatezza così decisa, da renderla un comandamento illuminante, facendola risuonare nelle pareti curve dello Stage D, il principale tra i cinque palchi dell’Athens Bar Show. Partito dai mille visitatori della prima edizione nel 2010, che contava appena nove espositori, quello che si è da poco concluso è stato l’Athens Bar Show con la maggiore affluenza di sempre (quattordicimila presenze), che ha inondato le viottole di Technopolis (Piraeus Street 100); fino agli anni Novanta, un impianto dedito al trattamento di gas e petrolio, oggi convertito in uno splendido polo fieristico.

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L’ospitalità è una cosa seria

Agli ultimi World’s 50 Best Bars, universalmente e in modo controverso riconosciuti come gli Oscar della miscelazione, l’Italia ha fatto un figurone: quattro indirizzi in classifica (senza contarne due nella pre-graduatoria dalla posizione 51 alla 100) disseminati per il territorio, da L’Antiquario di Napoli di Alex Frezza(46) al 1930 di Milano capitanato da Benji Cavagna (35), passando per il Locale Firenze di Matteo di Ienno (39) e il Drink Kong di Roma di Patrick Pistolesi, il meglio piazzato dei nostri al numero 16. Non è un caso, considerando gli sforzi che questi osti illuminati, inclusi Riccardo Rossi del Freni e Frizioni (86) e Matteo Zed del The Court (77) stanno profondendo ormai da anni per portare il bar italiano finalmente stabile nell’ottica globale. Certo, è una classifica che lascia il tempo che trova, bombardata di accuse di politicizzazione e volatilità per i criteri di valutazione, ma è indubbiamente un fattore che sposta equilibri importanti, che piaccia o meno, e vedere connazionali lì fa un certo effetto.

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Città vuota

A chiederlo ai milanesi veri, soprattutto quelli con il tagliando dell’età che comincia a mostrare qualche timbro in più, quella estiva è la versione di Milano più bella possibile. La mini-metropoli galoppante che almeno per un mese rallenta e quasi riposa, abbassa i toni, si prende cura di se stessa; il traffico praticamente scompare, i suoni si fanno più nitidi, le velocità si dimezzano. E soprattutto, la città si svuota: non uscite nelle ore più calde, ma doveste trovarvi in giro al primo pomeriggio, vi trovereste con la possibilità di godere delle strade alberate e degli angoli fermi nel tempo, quasi in completa solitudine. Se invece vi ritrovaste ormai all’ultima spiaggia, stritolati tra ferie che non arrivano mai e ricerca di un barlume di presenza umana, seguite le luci accese alla fine della strada, dove di sicuro prima o poi troverete una piazza.

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Identità

Marco Albini indossa un maglione nero e ci guarda fisso negli occhi. È seduto di fianco alla figlia Paola, che ha i capelli dorati raccolti in una coda strettissima e sorride, racconta, risponde: ci hanno permesso di andare a disturbarli nella sede della Fondazione Franco Albini, inaugurata nel 2007, quando appunto Franco Albini (padre di Marco) avrebbe compiuto cento anni.

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Un’altra occasione persa

D’accordo, è stata la festa della mamma. Ma nella comunità globale del bar, il 13 maggio si celebra il Word Cocktail Day: la giornata mondiale della miscelazione, per certi versi, che si fa coincidere con la data in cui, nel 1806, il Balance and Columbian Repository di Hudson, New York, pubblicò per la prima volta la definizione del termine cocktail. L’abbiamo tutti imparata a memoria, ma una volta di più di certo non ci fa ammalare: “A stimulating liquor composed of any kind of sugar, water and bitters, vulgarly called a bittered sling” (“Una bevanda alcolica stimolante, composta di qualsiasi tipo di zucchero, acqua e bitter, volgarmente detta bittered sling“).

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MILANO IN GIARDINO

Sarà di certo più ridotta nelle dimensioni, rispetto alle altre metropoli europee cui viene spesso paragonata, eppure Milano non manca davvero di nulla. Per ogni momento della giornata, sia essa stressante o serena, piena o pigra, attesa o maledetta, ci sarà un luogo della città adatto a essere visitato.

Alcuni di questi vanno bene sempre. Tra palazzi storici e angoli di bellezza nascosta, si scorgono infatti dei giardini che sembrano bolle di tranquillità dove potersi rifugiare se tutt’intorno è troppo veloce, ritagliare uno spazio se invece si ricerca solo silenzio. E molti di questi scorci di quiete portano con sé storie inaspettate.

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MILANO AL MUSEO

Per gioco, per amore o per interesse personale, ciascuno di noi ha probabilmente provato, almeno una volta nella vita, a coltivare una collezione. La sensazione di portare avanti e custodire una raccolta, che sia monotematica o varia, alimentandola per consegnarla forse ai posteri. E magari sarà durata molto meno di quanto ci saremmo aspettati o avremmo desiderato.

Milano racchiude invece una serie di musei, fondazioni, collezioni private di totale unicità: dalle raccolte di famiglie nobili, agli studi di designer e architetti che hanno tramandato le loro idee e i loro progetti, fino alle pietre miliari della cultura della città o a veri e propri luoghi di riflessione e contemplazione, artistica o introspettiva. Che si tratti di quadri, oggetti o anche solo memorabilia, l’intera città è disseminata di occasioni per conoscere più a fondo animi preziosi. Basta solo trovare la porta giusta.

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MILANO TRA I CORTILI

Passeggiare per le strade di Milano può rivelarsi una straordinaria caccia al tesoro. Fondata dai Romani, del cui Impero d’Occidente fu capitale, divenne poi centro culturale ed economico di un certo rilievo nel periodo Rinascimentale. Con il passare dei secoli, le nuove costruzioni si sono sovrapposte alle antiche, come spesso succede nelle città ricche di storia, senza però per fortuna cancellarle del tutto. 

Gli ariosi vialoni, o le strette stradine: ogni arteria di Milano potrebbe riservarvi sorprese di incredibile bellezza, se solo saprete dove andare a cercare. I portoni più anonimi potrebbero essere scrigni di ricchezza impensabili, e chiedere il permesso a un custode potrebbe essere un lasciapassare per un viaggio nel passato. A ridosso di chiese e monasteri, all’interno di abitazioni nobiliari, o semplicemente al centro di condomini privati: i cortili e i chiostri di Milano raccontano di vite trascorse, che ancora oggi fanno sognare. 

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MILANO E I SUOI PALAZZI

Lo sfarzo di sale affrescate, l’emozione di cortili e portici ad archi, le storie intrise di leggenda che hanno visto famiglie potenti intrecciarsi con sovrani e popolani. Milano fu centro di estrema importanza nel commercio e nella società fin dal MedioEvo, e regnanti e ricchi non persero tempo a costruirsi palazzi che ne dimostrassero l’importanza.

Scoprite allora un itinerario che vi porterà in giro per gli edifici storici, che in passato furono abitati da stirpi di valorosi, spesso poi caduti in rovina; altri ancora sono ancora di proprietà degli eredi, che con più cognomi e più interessi oggi dedicano i propri spazi privati alla valorizzazione della bellezza e del lavoro degli artisti moderni.

Perdetevi nelle immense sale da ballo, arrampicatevi sugli scaloni d’onore, percorrete i corridoi tappezzati per rivivere le atmosfere di tempi che furono, quando la brama di potere e il desiderio di cultura si fondevano in una sola, affascinante e pericolosa energia. E magari potrete chiedervi come sarebbe stato, se a vivere in quei giorni foste stati voi.